venerdì 5 febbraio 2010

I morti senza nome della clinica di Serra d'Aiello


La scoperta durante la riesumazione dei cadaveri di alcuni degenti
nell'ambito delle indagini sulla misteriosa scomparsa di alcune persone
Serra d'Aiello, la clinica dell'orrore
trovate quattro bare in un loculo
di ANNA MARIA DE LUCA

COSENZA - Quattro cadaveri in un solo loculo. La Procura della Repubblica di Paola ha trovato quel che cercava: gli scomparsi della clinica Papa Giovanni XXIII di Serra d'Aiello, gestita dal prete don Alfredo Luberto. O meglio: alcuni degli scomparsi. Uomini e donne abbandonati in una struttura per decenni fatiscente ma che era un pozzo di San Patrizio, oltre che un bacino elettorale intoccabile. Persone a cui è stata negata ogni dignità. Fino al punto da negarne l'esistenza.

L'apertura dei loculi è iniziata questa mattina. Il procuratore capo Bruno Giordano ha dato ordine di aprirne 67. Siamo quindi solo all'inizio. Nel loculo che contiene quattro bare, la più recente è stata messa in fondo. Sono tutte senza nome. C'è ancora molto da scoprire. Verità sepolte che oggi tornano alla luce smentendo con i fatti chi ha sempre sostenuto che le scomparse erano solo una fantasia giornalistica. "Nessuno è mai sparito qui": cosi commentava, dopo lo scoop di Repubblica, chi per decenni nella clinica ha lavorato fianco a fianco con i ricoverati. Ora bisognerà dare un nome ai cadaveri. Servirà per restituire loro un pezzo di quella dignità cancellata nella clinica di proprietà della Curia di Cosenza.

E' difficile persino associare i nomi alle persone, dato che in molti casi le cartelle cliniche non sono neanche state trovate, in altri erano taroccate. Fogli fotocopiati, tutti uguali. Come si è dimostrato dopo lo sgombero della clinica, a marzo. Gli istituti che hanno accolto gli ex ricoverati di Serra d'Aiello si sono ritrovati di fronte a persone senza nome, senza diagnosi. Il caos più totale, nel silenzio complice di chi gestiva la clinica e di chi ci lavorava, dei politici che venivano eletti con i voti dei ricoverati, tutti residenti nell'istituto, che andavano ad aumentare a dismisura il numero degli abitanti del piccolo paesino arroccato sul monte vicino Amantea.

Il numero dei pazienti, negli anni, è arrivato sino a novecento. Provenivano da tutta Italia perché la "Papa Giovanni" era il posto dove era possibile parcheggiare anziani, invalidi, giovani con problemi mentali senza spendere nulla. Ci pensava la Regione a pagare, sborsando fino a 195 euro per ogni paziente. Soldi mai trovati, che hanno fatto vivere nel lusso e nel potere il prete che gestiva la clinica, condannato a sette anni di reclusione per il buco economico. Tredici milioni di finanziamenti e quindici milioni di contributi mai pagati. Quasi il doppio il numero dei dipendenti: padri, madri, figli assunti in blocco. Quasi tutti a Serra d'Aiello avevano almeno uno o due parenti che lavoravano nella clinica. Senza specializzazioni mediche nella quasi totalità dei casi. Era la Fiat di Serra d'Aiello, il posto dove tutti trovavano lavoro. Il posto che faceva potente l'ex prete che ne era a capo. La Guardia di Finanza ha impiegato due giorni per fare l'inventario dei tesori trovati a casa sua, mentre i ricoverati vivevano tra epidemie di scabbia.

Ora dovrà rispondere anche delle scomparse. Il processo si deve ancora aprire. Innanzitutto bisogna quantificarle. Dei dodici presunti scomparsi la Procura di Paola ne conta otto ufficiali. Più vari casi di morti sospette, di cui cinque certificate. E un centinaio di casi di lesioni aggravate e maltrattamenti. Al di là di questi numeri si apre una grande zona grigia fatta di omertà, scomparse, raggiri. Fatta di vite abbandonate tra le mura di tre casermoni di cemento che nascondevano, dietro al nome di un Papa, la più profonda miseria umana.

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